COMUNICATO STAMPA

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08/12/2011

A Leda

Ci sono donne la cui assenza rende tutti più poveri, anche coloro che non le hanno conosciute.  Ci sono donne che, più di altre, ci rimarcano l’orgoglio di appartenere al genere femminile.
Leda Colombini era una di queste donne.
L’altro giorno Leda se ne è andata, per l’ultima impresa della sua vita. E lo ha fatto nel luogo che amava di più, come in una sorta di inconscia decisione di non accomiatarsi da esso, di appartenervi fino in fondo. Ci piace pensare che se ne sia andata sorridendo, senza perdere la tenerezza e senza incertezze, come abbiamo imparato a conoscerla e come l’abbiamo ammirata in tanti anni di battaglie.
Come altri nostri maestri, anche lei ha cercato di rendere possibile l’impossibile e lo ha fatto con semplicità, rimboccandosi le maniche, osando; lei, donna del popolo, coltissima e preparata, forte e passionale, che aveva scelto da sempre la parte con cui schierarsi, senza alcun ripensamento, senza revisionismi, senza mediazioni: stare dalla parte degli ultimi, dei diseredati, dando loro dignità e risposte, vere risposte!
Tra le tante cose, Leda aveva dato vita all’associazione A Roma insieme, perché non tollerava di vedere i bambini dietro le sbarre, cercando di costruire per loro, incolpevoli, percorsi di libertà. Ma questa era stata solo una delle tante cose da cui Leda ci aveva liberato in questi anni!  Le sue battaglie per il diritto alla salute in carcere, per la chiusura degli OPG, per spronare gli Enti Locali a farsi carico del loro carcere, contrastando con la sua passione e le sue azioni esemplari la logica delle istituzioni totali – e con loro l’uso dei meccanismi di esclusione  e di emarginazione dei più deboli su cui si fonda la nostra società. Leda si muoveva con una caparbietà trascinante e disarmante. Aveva profonda fiducia nell’essere umano e credeva che nessuno fosse irrecuperabile. Tutti questi interventi hanno infatti un filo comune che consiste nel rispondere alla violenza in termini di emancipa¬zione, di produzione di una antropologia fondata sul valore e sul rispetto della persona, soprattutto quella più fragile.
Liberté égalité fraternité, sembrano da due secoli parole che non si riesce mai a  coniugare insieme. Dove sta l’una, o al massimo due di loro, sembra impossibile vivano  tutte e tre. Sembra anzi che ciascuna di esse possa vivere solo a scapito delle altre. Liberté, égalité, fraternité con Leda facevano quadrato. Con chi altri oggi?
Leda denunciava la distanza incolmabile tra teorie piene di nobili intenzioni e una realtà fatta invece di violenza, di soprusi, di negazione dei più elementari diritti. Dalla riflessione sul senso del tanti ruoli rivestiti, esercitati con la medesima passione, nasceva la sua l’indignazione. Una indignazione che non si autocompiace, né si converte in retorica: l’indignazione di Leda diveniva progetto di cambiamento, calata nelle contraddizioni del reale,  nel quotidiano, per mutarne i rapporti di forza.
Ha scritto Tadeus Kantor: «L’oggetto povero, il povero, è quello privato, sempre,  delle funzioni specifiche della vita quotidiana, lo si getta nel bidone della spazzatura;  sta per essere buttato nei rifiuti. È lì sempre sospeso tra l’immondezzaio e l’eternità: il  luogo dei rifiuti, è l’ultimo scalino della realtà e l’eternità che è l’ultima soglia della  nostra vita».
Il suo continuo entrare nel mondo degli esclusi, dei poveri, era il frutto del  suo amore per la vita, per l’esperienza della vita.
Sapeva che ognuno ha  bisogno dell’altro. Che l’alternativa è la barbarie. Quella che oggi ci circonda  sempre più e che quasi nessuno osa più combattere. Lei non le si è mai arresa. Cercando  nei luoghi più improbabili, nelle pieghe della realtà, il luogo che oggi si direbbe  dell’inclusione; che lei chiamerebbe della vita intera.
Chiunque l’abbia conosciuto Leda ora si sente più solo. Allora, chiunque  l’abbia conosciuta faccia qualcosa per riempire questo pezzo di solitudine, questo  pezzo perduto della nostra intera umanità. Pensando a lei ciascuno di noi sa cosa bisogna fare.
Ogni azione, ogni parola di Leda ha teso a rompere lo schema della delega e dell’abbandono. Il carcere, l’OPG sono parte integrante della comunità, appartengono alla città, sono problema di tutti. I loro fallimenti, i loro successi sono i nostri fallimenti e i nostri successi.
Nell’epoca dei revisionismi e nel pesante restringimento e imbarbarimento del clima politico dei nostri giorni, quando si parla con troppa facilità dei fallimenti delle riforme e si invocano controriforme, bisognerebbe ricordarsi di Leda, delle sua battaglie, della sua grande capacità affettiva, suoi successi incontrovertibili e riproducibili, solo se lo si voglia veramente. Bisognerebbe ricordarsi di Leda, del suo coraggio e della sua coerente e scomoda determinazione, del suo sorriso, ricordarsi di una donna che ha creduto fino in fondo ai sogni degli ultimi della terra e ai suoi, ai nostri sogni. Grazie di tutto, Leda.

Elisabetta Laganà
Presidente CNVG

Leda Colombini

 

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