COMUNICATO STAMPA

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25/07/2006

Presentata nella sala Stampa della Camera dei Deputati, la Quinta Rilevazione Nazionale sul Volontariato Penitenziario “Pianeta carcere e comunità locali: verso una progettualità integrata?”

(Roma, 25 luglio 2006) Alla presenza del Sottosegretario alla Giustizia On. Manconi e di autorità del DAP, il Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ha presentato oggi nella Sala Stampa della Camera dei Deputati, la Quinta Rilevazione sulla presenza del Volontariato nelle carceri. La ricerca, realizzata dalla FIVOL con l’impegno delle strutture penitenziarie sotto la Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento, riguarda gli operatori non istituzionali che, in articolo 17 o 78 (in questo caso, “assistenti volontari”), hanno assicurato nel corso del 2005 una presenza attiva all’interno delle strutture detentive.
Complessivamente nel 2005 gli “operatori non istituzionali” attivi nelle strutture detentive del nostro paese sono stati oltre 8.300 (mediamente 1 ogni 7 detenuti) con un incremento di circa 500 unità rispetto all’anno precedente. I volontari hanno operato nel 98 % delle strutture . All’aumento dei volontari corrisponde l’aumento dei detenuti, pari a 59.523 a fine 2005, (in media 288 unità per struttura detentiva) contro i 42.952 posti/detenuto regolamentari, con una differenza di 16.571 detenuti in più rispetto allo standard previsto.

Tra le regioni la Toscana è la prima sia per numero assoluto di volontari che per coefficiente di presenza in rapporto ai detenuti (1 su 3) e precede il Veneto e alla pari, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Basilicata e Sardegna (1 su 4). Il rapporto meno favorevole tra detenuti e operatori non istituzionali, si registra invece nelle regioni del Molise (1 su 34) e della Campania (1 su 26). Complessivamente la situazione più favorevole si registra al Centro (1 volontario ogni 5 detenuti) e quella meno lusinghiera al Sud (1 volontario ogni 10 detenuti).

Si vede una leggera prevalenza della componente femminile (51,4%), presente in modo più equilibrato di quella maschile nelle tre aree (Nord, Centro e Sud) del Paese, e di età matura (tra 46 e 65 anni). Il 72 % degli operatori non istituzionali sono “volontari”, cioè prestano la loro opera con gratuità e disinteresse; il rimanente 28% è prevalentemente impegnato nel terzo settore e appartiene al mondo del non profit che fa impresa sociale. Sette operatori non istituzionali su dieci appartengono a specifiche organizzazioni di volontariato; tra private e pubbliche se ne contano oltre 500.
Le attività svolte dai volontari e dagli altri operatori esterni sono molteplici e complementari in considerazione del diverso titolo con cui operano nelle strutture detentive. Prevalgono le attività che si basano su di un rapporto personalizzato in funzione dell’ascolto attivo, del sostegno morale e psicologico.
Seguono, per frequenza, le attività di tipo culturale o di animazione socio-culturale che coinvolgono molti detenuti. Al terzo posto in ordine di diffusione le attività religiose, sia quelle a spiritualità cristiana che di altre confessioni, per la elevata presenza nelle carceri italiane di immigrati che chiedono di poter professare la propria fede religiosa da cui trarre un conforto morale e un contatto culturale in un momento di difficoltà.
Importanti sono le diverse attività formative e scolastiche che consistono in veri e propri corsi e nel recupero di competenze e titoli di studio.
In deroga al principio di sussidiarietà, per far fronte alle carenze del servizio pubblico sono importanti anche le attività di segretariato sociale e di patronato esercitate dagli operatori volontari in oltre un terzo degli istituti esaminati. Si citano anche gli interventi di mediazione interculturale di cui beneficia la popolazione degli immigrati detenuti (circa un terzo del totale) e quegli interventi di accoglienza-accompagnamento per licenze o uscite premio - rilevati nel 50 per cento degli istituti - che segnano una continuità tra il “dentro” e il “fuori”. In questa direzione vanno anche quegli operatori non istituzionali che curano progetti/attività di reinserimento sociale dei detenuti, assumendo una funzione di ponte con il territorio comunitario e promuovendo l’inclusione sociale, ovvero la cittadinanza piena, attraverso l’istruzione, il lavoro e l’alloggio.

“ Sul tema amnistia-indulto, - ha dichiarato il Presidente della CNVG Claudio Messina - questo Organismo si è ripetutamente espresso a favore. Non per perdonismo, ma per ristabilire una soglia di legalità nelle carceri ormai ampiamente superata. Al dramma del sovraffollamento si somma l'aspetto etico-morale delle condizioni in cui si costringe a vivere una popolazione di disperati che, in piena estate, patisce in molti casi anche la scarsità di acqua e di aria. Tutto ciò non è umanamente accettabile. E’ chiaro tuttavia che si impone anche un cambiamento di rotta nelle politiche penitenziarie. Occorre depenalizzare i reati minori e quindi abbandonare l'uso della carcerazione per contenere tutti i disagi della società. La tolleranza zero applicata in altri paesi, che in Italia molti invocano, non argina affatto la criminalità, anzi, ne insegue la crescita. E’ il nostro sistema penale che va completamente ripensato e riscritto. Una giustizia perennemente tardiva come la nostra si svuota di significato, non rende un buon servizio né al reo né alla vittima, né alla società.
E poi il gioco della prescrizione, una rincorsa facilitata contro i tempi lunghi della giustizia, che equivale ad una amnistia per chi può scivolare disinvoltamente tra le pieghe del diritto.
Meno carcere e più misure alternative, indirizzate ad una concezione riparativa della pena, alla riconciliazione, ove possibile, perché il solo aspetto retributivo e afflittivo della pena si è visto che non funziona, non serve a nessuno”.

Addetto Stampa – Paola Roselli
 

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