COMUNICATO STAMPA

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26/06/2011

Giornata internazionale contro la tortura

Nelle carceri italiane la condizione del rispetto dei diritti umani è drammatica, essendo fortemente limitati o di fatto negati. Quando si parla di diritti umani, forse sarebbe utile ricordarsi che si sta parlando dei fondamentali bisogni di ogni individuo, troppo spesso non rispettati nel carcere. Lo confermano le 1.499 sentenze e relative condanne, tutt’altro che simboliche, emanate nel corso del 2010 dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo nei confronti dei paesi firmatari della Cedu, che l’ha istituita. Stando al rapporto per il 2010 dell’Osservatorio sulle sentenze Cedu presso la Camera dei deputati, in tema di diritti umani l’Italia è tra gli ultimi in classifica. Con 98 sentenze e rispettive condanne, l’Italia è preceduta da soli altri cinque primati negativi: Turchia, Romania, Ucraina e Polonia. Ben diversa la posizione delle nazioni vicine all’Italia e cioé Slovenia, Svizzera, Austria e Francia. Per non dire della Danimarca, a quota zero. Oltre ai numeri, non meno degno di nota è il carattere delle violazioni che hanno portato l’Italia sul banco degli imputati a Strasburgo. Sul totale delle 98 sentenze con condanna, ben 61 accertano almeno una violazione delle norme Cedu, e di queste 50 riguardano l’inosservanza del diritto a un equo processo.
Lo scandalo delle nostre carceri, in costante e palese contrasto con la nostra Costituzione, con il diritto europeo e internazionale, richiede da tempo interventi strutturali, conformi alle dichiarazioni, convenzioni, trattati a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo. Basta guardare l'art.18.4 delle Regole penitenziarie europee del 2006, dove si stabilisce che la legislazione interna di ogni singolo Stato deve prevedere dei «meccanismi idonei a garantire che il rispetto delle condizioni minime di detenzione non sia compromesso a causa del sovraffollamento carcerario». La lettura di questa direttiva impone una riflessione, o meglio, una domanda. E, cioè, come mai nonostante i numerosi dibattiti sulla questione penitenziaria, nel nostro Paese si sia parlato poco o niente di un meccanismo che, pur essendo di non facile regolamentazione, ha già trovato attuazione in alcuni ordinamenti (Olanda, Finlandia) ed è al centro di un approfondito dibattito in Francia. Si sta alludendo al meccanismo che viene indicato con la locuzione "numero chiuso", esplicabile in questo modo: il Parlamento determina il numero massimo di detenuti che possono essere ospitati in un determinato circuito carcerario, applicando il criterio base secondo cui ogni cella deve essere, in linea di principio, occupata da un solo detenuto (criterio sancito dall'art.18.5 delle Regole penitenziarie europee); nel momento in cui viene raggiunto il tetto massimo di presenze, all'ingresso nel circuito di un nuovo soggetto deve corrispondere l'uscita dal medesimo di un altro condannato, che in base agli accertamenti dell'autorità giudiziaria risulti ormai prossimo al fine pena.
La Germania, con una sentenza storica emessa nel marzo scorso dalla Corte Costituzionale tedesca, obbliga le istituzioni penitenziarie del Paese a liberare un detenuto laddove la carcerazione non sia rispettosa dei diritti umani. Viene così anteposta la dignità della persona alla sicurezza, e si apre la strada alle “liste di attesa” per l’ingresso in carcere, già praticate in alcuni Paesi nordeuropei, Norvegia in testa. Senza dimenticare che nelle prigioni norvegesi e tedesche si parla addirittura di tasso di sotto affollamento, nel senso che nelle carceri di questi Paesi ci sono più posti letto che detenuti.
Dove è stato il governo in questi anni, mentre buona parte dell’Europa ragionava su soluzioni rispettose dei diritti? Perchè negli OPG vi sono ancora persone legate, in celle indecenti? Perchè tutti i tentativi di riformare il Codice Penale sono naufragati? Perché è così scandaloso, o rimane un dialogo tra pochi benintenzionati, parlare della necessità di un totale riassetto del sistema sanzionatorio che preveda un diritto penale minimo, equo ed efficace?
Le proposte dovrebbero riguardare la modifica della legge sulle tossicodipendenze, della ex Cirielli, della Bossi-Fini, delle misure di sicurezza e prevedere forme come la messa alla prova, la mediazione penale, la giustizia ripartiva. Ridare slancio e possibilità concrete alle misure alternative, drasticamente ridotte in questi anni. Bisognerebbe inoltre incidere sul problema tutto italiano della custodia cautelare. In Europa siamo fra quelli con le percentuali maggiori di giudicabili sul complesso dei detenuti. Affrontare seriamente il problema delle carcerazioni brevi: il 32% dei 90.000 circa arrestati nel corso di un anno con passaggio dal carcere resta detenuto per non più di tre giorni. Occorrerebbe pensare alla pena andando anche al di fuori della concezione italiana, e guardare ciò che avviene negli altri paesi europei, non solo per una più ampia articolazione del ventaglio delle pene. Andrebbero implementate le pene alternative al carcere con le sanzioni “sostitutive” delle pene detentive brevi, discrezionalmente concesse già dal giudice della cognizione (semidetenzione, libertà controllata, pena pecuniaria).
Celle sotterranee, mancanza di spazi, permanenze in cella per la quasi totalità della giornata, mancanza di generi di necessità. È il collasso delle carceri italiane. Lo scorso marzo il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa ha emesso una dichiarazione di biasimo nei confronti della Grecia, ammonita dal Consiglio d’Europa per la situazione relativa al trattenimento dei migranti irregolari ed alla situazione penitenziaria. I migranti irregolari sono trattenuti dalle autorità greche, secondo il Comitato, per settimane o mesi in condizioni degradanti. Probabilmente non tarderà la stessa condanna all’Italia.
La battaglia di Pannella è ad altissimo indice di civiltà. Noi la sosteniamo completamente. Tanti volontari si sono già associati allo sciopero. Esprimiamo a Pannella la nostra gratitudine per il suo sacrificio. La sua battaglia per la tutela dei diritti nelle carceri, che denuncia uno stato di tortura di fatto è anche la nostra battaglia. Scegliere di pagare di persona a rischio della propria vita per il carcere e le sue condizioni merita il massimo del rispetto. Poi la scelta dell’amnistia si può condividere o meno. Anche se è chiara la falsa coscienza di chi si scandalizza per la proposta, in un Paese in cui la prescrizione raggiunge le cifre rese note dalla stampa. Per cambiare davvero le cose era necessario e auspicabile intervenire prima con riforme sostanziali. Se ci si crede, se si vuole, si può ancora fare. La riforma epocale della giustizia, annunciata dal Ministro Alfano, manifesta oggi i suoi effetti più deleteri. Oggi, 26 giugno, è la Giornata internazionale dell’Onu contro la tortura. Speriamo che alle numerose visite ed attestati di solidarietà a Pannella si dia seguito ad una vera riforma per le carceri. Che il Parlamento dia finalmente corpo a tutte le mozioni approvate qualche mese fa, ed anche lo scorso anno, sul carcere “possibile” da riformare, da realizzare. Che reputi il carcere come l’urgenza da affrontare, ora, senza rimozioni o inutili provvedimenti edilizi.
Il sasso, pesante, drammatico, a rischio della propria vita, è stato coraggiosamente lanciato da Pannella. Ci aspettiamo un minimo di coraggio anche da chi può decidere, per una volta, di affrontare seriamente il problema.

Elisabetta Laganà, presidente CNVG

 

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