COMUNICATO STAMPA

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13/12/2010

La cecità sul carcere

“In 40 anni non ho mai visto un carcere così disumano come in questo periodo”. Questa frase, pronunciata alcuni giorni fa ad un convegno da Francesco Maisto, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, apre un generale e forte interrogativo sul vedere quanto accade: come è possibile che politici, istituzioni, la comunità intera ( a parte pochi) si siano resi completamente ciechi rispetto a ciò che avviene dentro il carcere? E come è possibile che un analogo processo avvenga anche oggi nei confronti dei soggetti con un debole potere contrattuale e sociale, nei confronti dei malati di mente, dei tossicodipendenti, degli handicappati, degli anziani istituzionalizzati nelle case di riposo, dei senza casa, degli immigrati? Come è possibile che le persone siano cieche a quanto accade nei ghetti Rom, nei centri di espulsione o nel circuito illegale del mercato nero? Come era possibile allora, e come è possibile oggi, che la società faccia in modo di porre il deviante, il diverso, lontano dal suo sguardo, delegando totalmente la sua gestione ad apparati e istituzioni, che il più delle volte, invece di riabilitare, si limitano a “gestire”, se non a reprimere?
C’è un romanzo che metaforicamente solleva questa problematica: è “Cecità” di José Saramago. Nel libro la perdita improvvisa della vista in una popolazione allude alla perdita della ragione, alla caduta nel conformismo e nell’indifferenza e mostra le tragiche conseguenze di questo evento: la repressione, la sopraffazione dei forti sui deboli, progressivamente, fino all’imprigionamento di tutti.
Quando si discute del carcere, si dovrebbe discutere di questo: di camere oscure e oscurate al mondo, di luoghi ciechi, muti, privati di diritti. Dove le parole della Costituzione rimangono solo modi di dire. Dove ai detenuti manca tutto, dal diritto alla salute al sapone.
La sofferenza del sistema è giunta ad un punto molto critico: è fondamentale richiamare la politica alle sue responsabilità sul tema delle risorse, che non possono essere ricavate solo sul piano della fantasia, e sulla rilevanza di una attenzione ai diritti, considerando che i diritti senza risorse che ne consentano l’esercizio rischiano di essere inesigibili.
La soglia dei 69 mila detenuti nelle carceri italiane è stata superata. Dall’inizio anno sono già 62 i detenuti suicidi nelle carceri italiane. In una materia come questa, che tocca corde sostanziali del diritto, non andrebbero espresse timidezze; bisognerebbe operare con forza sul fronte delle riforme legislative e sulle politiche sociali; servirebbe una chiara azione riformatrice.
Come volontariato nutriamo pochissime aspettative sul numero di persone che realisticamente uscirà dalle carceri in virtù del decreto sulla detenzione domiciliare: un segnale troppo debole per un sovraffollamento così forte. La cosiddetta legge svuota-carceri non solo inciderà in misura minima ( e a tempo determinato) sul sovraffollamento carcerario, ma soprattutto non esprime quel doveroso coraggio che la disastrosa situazione delle carceri richiederebbe, quale una inversione di rotta della detenzione come unica pena a favore di pene e provvedimenti alternativi al carcere. Legge dove nessun investimento è stato pensato per incrementare il personale educativo e trattamentale. Sarebbe necessario un ripensamento complessivo sui temi della sicurezza e della pena. Questa situazione deve chiamare a raccolta tutti i soggetti che si trovano ad entrare in contatto con la realtà del carcere e le persone ivi detenute. Anche l’ANM si è espressa sulla necessità che si ritorni al carcere come “extrema ratio” e che vengano utilizzati “alcuni degli strumenti per il superamento della concezione pancarceraria della pena, con l’introduzione delle pene alternative, e la mitigazione delle restrizioni per i recidivi al godimento dei benefici penitenziari”. Ma è necessario che tutte le componenti del mondo giudiziario siano aperte al dialogo per tutelare i diritti e le garanzie dei cittadini privati della libertà. La CNVG ha sollecitato un tavolo di lavoro congiunto con il Governo, le Regioni e gli EE.LL., coordinato dall’Ufficio Rapporti con le Regioni, Enti Locali ed il Volontariato del DAP. Il tavolo, operativo da mesi, lavora per dare corpo e attuazione a livello locale alle “Linee Guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria” approvate nel 2008: queste, sottolineando le ragioni della necessità dell’inclusione e i danni prodotti invece dall’esclusione, delineano in modo preciso i principi e le modalità della collaborazione tra istituti e servizi del Ministero, la programmazione regionale, gli interventi dei servizi socio sanitari e culturali territoriali e il volontariato, fino all’inserimento delle attività per i condannati nei “Piani Sociali di Zona” previsti dalla legge 328/2000. Della commissione fanno parte le Regioni, il Consiglio Superiore della Magistratura, il Ministero dell’Interno, il Ministero della Pubblica Istruzione, il Ministero della Solidarietà Sociale, l’ANCI, e il Volontariato
Anche l’ANCI, in un documento indirizzato al Governo e al Ministro della Giustizia, richiede che venga costituito in tempi rapidi un Tavolo di confronto sul “Piano Carceri”.
La situazione richiede necessariamente ed urgentemente un dialogo ed un confronto reale tra tutte le componenti coinvolte. Oltre a necessarie campagne di informazione sulle reali condizioni carcerarie, anche in sinergia con il Volontariato. Al fine di lavorare tutti insieme per restituire una dimensione visibilmente e concretamente costituzionale della pena.

Elisabetta Laganà
Presidente CNVG
 

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