COMUNICATO STAMPA

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30/10/2010

Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia: sulla nomina del Garante dei detenuti di Roma

La figura del garante dei diritti delle persone private della libertà, figura istituzionalmente incaricata di verificare e garantire la presenza delle condizioni di esercizio dei diritti nell’istituzione carceraria, ha costituito un importantissimo passo nella direzione della tutela dei diritti in quelle realtà in cui spesso se ne verifica la negazione. Passo sostenuto da quelle istanze progressive e democratiche che da tempo ragionavano sulla necessità dell’idea del diritto come bene inalienabile del soggetto. La sua funzione, che deve necessariamente rivestire caratteri di terzietà, deve esercitarsi tra detenuti, amministrazione penitenziaria, giudici, e la sua nomina dovrebbe avere una forte investitura della comunità locale, proprio per dare corpo a quella indispensabile voce del sociale senza la quale nessuna vera riforma delle istituzioni, in particolare quelle totali, è possibile. Al di là, quindi, dell’aspetto non irrilevante dei poteri di questa figura, la sua presenza dovrebbe costituire un elemento di continuità e di capacità di sensibilizzazione della cosiddetta società civile per il progetto di inclusione sociale delle persone che si trovano ristrette.

Pertanto la nomina come garante di Roma di una persona appartenente all’Amministrazione Penitenziaria, che come Volontariato non possiamo condividere, oltre agli aspetti evidenti di incompatibilità che ne snaturano il senso della figura terza, suona pertanto come molto più di una provocazione: è l’ulteriore segnale della negazione del ruolo e delle rappresentanze del mondo della società civile, della cultura, di tutti coloro che nel mondo dell’accademia, della rappresentanze sociali, della partecipazione alle tematiche dei diritti hanno espresso la capacità di attivarsi ed attivare risorse umani e culturali sul questo difficile fronte. Si manifesta quindi, con questa nomina, un conflitto evidente che risulterà estremamente problematico tra la funzione di tutela dei diritti e delle garanzie della popolazione detenuta.
Solo aprendosi all’esterno il carcere potrà riformarsi, solo favorendo processi di collaborazione e di partecipazione dei cittadini per inserire la gestione della detenzione e della pena in una complessità di operazioni, solo promuovendo relazioni di fiducia con chi da molto tempo si occupa di questi problemi a livello locale è possibile conseguire risultati in termini non emergenziali ma di stabile progettualità.
Così non è stato. Si è scelta la strada della semplificazione, della decisione dall’alto, congruentemente con uno stile ormai consolidato di processi decisionali che contraddistingue ormai molte delle nostre istituzioni. Su questa decisione nemmeno la “Consulta permanente cittadina del Comune di Roma per i problemi penitenziari” pare sia stata consultata, disconoscendo così erroneamente l’esperienza di una realtà che da molto tempo opera sul territorio. Scelta che non fa che potenziare la strada dell’esclusione del sociale nelle scelte che riguardano la pena e la sua esecuzione. La scelta di un garante dovrebbe avere una forte investitura dalla comunità, disporre di un forte rapporto con le situazioni locali e le associazioni. Altrimenti si complicano le cose, in un panorama già altamente problematico. Il problema della tutela della vita in carcere conosce oggi uno dei momenti peggiori L’intollerabile numero dei suicidi in carcere, due solo ieri, dimostra la tragica insostenibilità della situazione. Al momento attuale la strada della ragione appare molto impervia. Come volontariato pensavamo di essere ormai difficili allo stupore, ma veramente la realtà di una politica così assente alle voci del sociale supera ogni fantasia.

La gestione della detenzione e della pena devono essere inserite in una complessità di operazioni, le loro interrelazioni e la loro integrazione dovrebbe postulare una forte volontà politica da parte degli amministratori per realizzare una stretta collaborazione tra il Ministero, le Regioni, gli Enti Locali e la “società civile”, tutti organismi impegnati a diverso titolo e responsabilità, in una migliore gestione delle carceri, della pena e delle misure alternative. Solo attraverso una stretta collaborazione tra tutte queste parti sarà possibile cambiare qualcosa. Non certo affidandosi all’edilizia penitenziaria.
 

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