COMUNICATO STAMPA

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07/01/2010

ROMA

L’intervento del gruppo Calamandrana mette in luce un importante aspetto della pratica quotidiana del volontariato nelle carceri: il problema della denuncie e delle relative conseguenze. Problema che riflette solo in parte il rapporto tra il volontariato, l’Amministrazione penitenziaria, il ministero della Giustizia e la magistratura. Al nostro interno stiamo assistendo, da parte delle associazioni, ad un aumento di segnalazioni di sospensione dall’attività di volontariato presso gli istituti di pena. Cosa significa: che i volontari si sono fatti più incauti e disattenti alle regole, oppure è segnale di una insofferenza che si manifesta laddove all’abituale svolgimento di un servizio si accompagna anche una azione di denuncia e di evidenziazione dei diritti violati della popolazione detenuta?
Non sempre, per buona sorte, la pratica della sospensione viene applicata a quel volontariato che si esprime e si espone denunciando eventi di violazione dei diritti o segnala fatti critici. Episodi gravissimi accaduti sono stati resi evidenti proprio grazie alle dichiarazioni del volontariato senza che siano stati pagati prezzi così estremi. In compenso a volte ci vengono indicati provvedimenti di revoca difficilmente comprensibili, talvolta privi di motivazione del provvedimento. Va da sé che queste risoluzioni implichino la diffusione di un generale senso di incertezza e di mancanza di serenità in tutti i volontari che ogni giorno entrano nelle strutture giudiziarie per offrirvi il loro operato.
Ancor più delicata, in situazione di denuncia, è la posizione della persona ristretta, che può essere soggetta a provvedimenti ben più penosi di una sospensione art 17 o 78. Questo è sicuramente un punto dirimente per la decisione di una azione di segnalazione. È evidente che il conflitto tra il parlare ed il tacere può essere lacerante, quando si tratta di persone soggette alla detenzione, quindi con pochissimo potere di difesa dei propri diritti l problema ritorna al rapporto tra i soggetti istituzionali ed il volontariato, ma soprattutto al silenzio delle istituzioni. Non ovunque, ma frequente. Esistono, in verità, situazioni privilegiate, in cui i rapporti con l’amministrazione penitenziaria la magistratura sono reciprocamente collaborativi, ma per lo più assistiamo a situazioni strumentalizzanti, in cui il ruolo del volontario è di fatto solo suppletivo alle carenze dell’amministrazione, ma non per scelta del volontariato. Succede quindi talvolta che i patti ed i rapporti tra le parti, che dovrebbero definire la pari dignità tra volontariato e amministrazione della Giustizia ( sancita da accordi istituzionali) non rivelino altro che la loro inutilità sostanziale, dato che, ad esempio, il volontariato non è mai stato convocato in questa situazione di emergenza delle carceri, né dall’Amministrazione Penitenziaria né dal Ministero della Giustizia.

Un rapporto di fiducia istituzionale implicherebbe una chiara e reciproca esposizione dei punti di vista alla luce dei comuni obiettivi di recupero delle persone ristrette, e di chiarimenti e conciliazioni laddove possono manifestarsi nodi problematici nei rapporti tra enti. Stiamo evidentemente assistendo ad uno scollamento nei rapporti tra Volontariato ed Amministrazione Penitenziaria. Riteniamo che questa scissione tra le parti non porti beneficio a nessuno, in particolare alla popolazione detenuta. C’è stato un momento in cui le strade sembravano poter avere obiettivi e programmi comuni, pur nelle reciproche differenze: questa fase ha dato origine a progetti, ai protocolli, a percorsi congiunti. Questa stagione sembra lontana, e l’assenza di dialogo pare dominare l’Amministrazione contrale nel rapporto con il volontariato, poiché, al di là di momenti formali o di incontri ai convegni, è la sostanza del rapporto collaborativo che sembra essere intaccata.
Questi eventi potrebbero dare spazio a legittime azioni di protesta ai fini della tutela del ruolo del volontariato penitenziario; strada che però, proprio in virtù del mantenimento dei rapporti di fiducia tra le parti e nell’auspicio di una ricomposizione del problema, il volontariato ritiene di dover percorrere solo come extrema ratio.
Cogliamo pertanto questa sollecitazione che può divenire occasione non solo di dibattito, ma di soluzioni chiarificatrici anche per altre situazioni. Al nostro interno si era già discusso di creare una occasione di confronto con il DAP sullo stato dei rapporti tra volontariato ed Amministrazione penitenziaria, iniziativa cha auspichiamo di realizzare tra breve in forma di dibattito e discussione allargata a tutte le realtà: proprio per non allargare i confini del silenzio sul carcere.

Elisabetta Laganà, presidente

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