NEWS/ARTICOLO

02/02/2012

Prevenzione e mediazione... le nuove frontiere

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La dottoressa Cicciù, Coordinatore del Centro per la Mediazione dei Conflitti, intervenuta ad un recente convegno regionale della CRVG Marche, ha scritto un suo contributo per il giornale diocesano.

Mi è stato chiesto di scrivere tali righe sulla mia esperienza nella mediazione come contributo finalizzato ad aprire intelligenze e cuori sul tema…
Personalmente ritengo che la sensibilità necessaria ci sia già e che non si debbano utilizzare chissà quali strumenti per arrivare all’ambizioso fine prospettato.
Sarà che, un mediatore, per formazione, è abituato, in primis, all’umiltà ed al silenzio, virtù principali che deve apprendere all’inizio del proprio percorso.
Sarà anche che la nostra regione Marche può considerarsi all’avanguardia in materia, visto che ormai da tempo1 ha posto i semi per arrivare a contemplare e ad attivare un Centro per la Mediazione dei Conflitti (L.R. n. 28 30/09/’08 “Sistema regionale integrato degli interventi a favore dei soggetti adulti e minorenni sottoposti a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria e a favore degli ex detenuti”).
Stiamo aspettando solo che tali semi maturino, dopo una riorganizzazione strutturata del Centro ed una regolamentazione lavorativa dei mediatori, consolidando la collaborazione con i Referenti istituzionali (Magistratura minorile, Servizi minorili della Giustizia, DAP, Giudici di Pace, ecc.), avviando contatti con il Tribunale Ordinario, coinvolgendo gli Enti locali e le Amministrazioni pubbliche, di modo che si possano “restituire valori alla Comunità” (giustizia, appartenenza, rispetto delle regole, solidarietà, ecc.).
Ma, restando sotto metafora, vorrei far capire che cosa ci ha spinti ad innaffiare costantemente quelli che all’inizio erano germogli davvero fragili… sicuramente l’aver testato sul campo quanto la mediazione sia un modo corretto della Giustizia di farsi carico della complessità di un conflitto e, innanzi tutto, il riscontro positivo delle Persone: viene offerto loro uno spazio di parola diverso e distinto dal processo.
La nostra esperienza in veste di mediatori penali minorili ha messo in luce che, in molti casi, magari con una maggior disponibilità all’ascolto ed alla comprensione reciproca, l’evento penale potrebbe essere risolto in maniera meno dispendiosa in termini di “portato” del vissuto degli attori e di risonanza sulla comunità. Spesso i giovani (sia persone offese che imputati) hanno detto che se ci fosse stato un intervento tempestivo di mediazione si sarebbero risparmiati tante sofferenze ed incomprensioni e che, grazie alla mediazione, hanno imparato a “guardarsi e ad ascoltare le ragioni dell’altro”.
Ciò fa ben sperare nella possibilità di operare un’azione di sensibilizzazione e di educazione alla legalità partendo, ad esempio, dalla scuola, dove sarebbe importante mediare i conflitti sul nascere per evitare assurde degenerazioni (prevenzione primaria). Non si tratta certo di soluzioni al problema della devianza giovanile, ma di sviluppi che potrebbero offrire ai giovani di oggi ed agli adulti di domani la possibilità di entrare in relazione in un nuovo modo, con una maggiore crescita del sentimento di solidarietà e di appartenenza ad una comunità.
Dopo la sperimentazione nel campo minorile, sono sempre più convinta che la grande valenza della mediazione di tipo umanistico a cui siamo stati formati, permettendo di lavorare con attenzione e sensibilità al mondo dei vissuti di tutte le parti coinvolte, fa sì che essa possa essere applicata con successo anche nei confronti degli adulti che hanno commesso reati, dando loro la possibilità di elaborare con i propri strumenti le conseguenze di tali atti, rendendosi consapevoli e più attenti ai pregiudizi, all’individualismo e alla voglia di riscatto che ne scaturisce. La parola chiave è “ricucitura dei legami spezzati”, cioè una visione che implica il riconoscimento di ciò che è accaduto, delle ragioni che l’hanno provocato, degli effetti causati e della possibilità di ognuno di operare una riparazione, che non è solo economica o penale, ma è soprattutto interiore e profondamente individuale. Si arriva così a sentirsi una persona che ha altre possibilità di espressione, di conoscenza e comprensione della realtà dell’Altro, salvo restando il fatto che si è commessa un’azione illegale e si è procurato un danno per il quale si devono pagare delle conseguenze. Non significa cioè deresponsabilizzare il fatto, ma responsabilizzare la persona. E’ per questo che la mediazione e la sua cultura possono inscriversi anche nel territorio della prevenzione secondaria e terziaria, come freno alla reiterazione di comportamenti devianti, sia nel contesto sociale, scolastico, familiare, oltre che, ovviamente, riguardo all’ambito penale minorile e non, al fine della migliore integrazione del reo nella società offesa attraverso un percorso di autoresponsabilizzazione, l’attivazione di forme di riparazione, anche simboliche, del danno alla vittima ed il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.

1 Risale al 2002 l’istituzione sperimentale dell’Ufficio per la Mediazione Penale Minorile delle Marche (D.G.R. n. 2216 del 17/02/02 “Attuazione del protocollo d’intesa tra Regione Marche e Ministero della Giustizia in materia penitenziaria e post-penitenziaria – Approvazione dell’atto di istituzione sperimentale dell’Ufficio per la Mediazione Penale Minorile delle Marche”), oggi Centro per la Mediazione dei Conflitti (Art. 16 L.R. 28/2008 modif. da L.R. 16/2011), sito in P.zza Cavour n. 22 - Ancona.





 

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